C’è un cambiamento in corso nel panorama della psicoterapia psicoanalitica in adolescenza: la fine
della parziale o totale esclusione dei genitori dal trattamento del figlio adolescente e al contrario il
progressivo riconoscimento dell’utilità o anche della necessità del lavoro clinico con i genitori,
parallelo a quello che viene svolto col figlio.
Certamente vi sono molti possibili motivi per questa parziale o totale esclusione e per la scarsa
considerazione che per molti anni è stata data al lavoro coi genitori degli adolescenti.
Tra i motivi socioculturali va rilevata la presenza, tuttora in atto, da una parte di un modello che
mette in primo piano l’emancipazione dell’adolescente da legami con genitori autoritari o
iperprotettivi, dall’altra di un modello (collegato a aspetti di più recente comparsa) che tende a
sostenere l’ autonomia del figlio rispetto a genitori poco consistenti, poco affidabili come figure di
riferimento, o rispetto a situazioni confuse anche a seguito delle sempre più frequenti rotture e
ricomposizioni familiari.
Tra i motivi teorici (di un approccio che non prevede il coinvolgimento dei genitori), oltre
all’importanza data dalla psicoanalisi freudiana e soprattutto kleiniana alla realtà interna piuttosto
che alla realtà esterna, va considerata la centralità data ,da parte di autori classici come Blos e Anna
Freud, ai fini di un “normale” sviluppo, alla perdita dei legami di oggetto infantili e alla separazione
anche fisica dai genitori.
In questa prospettiva, i genitori sono stati considerati degli intrusi nel trattamento del figlio, che
tendono a interferire per lo più negativamente rispetto agli obiettivi terapeutici.
Molti analisti e molti psicoterapeuti si limitano a incontrare brevemente i genitori nel corso della
valutazione per la raccolta di informazioni anamnestiche e per il contratto iniziale, scoraggiando
ogni contatto successivo. Ma probabilmente la maggior resistenza al lavoro con i genitori viene
dalle intense dinamiche controtransferali che si attivano nei terapeuti prima durante l’incontro con i
genitori, reazioni che sono in rapporto all’identificazione con l’adolescente e alla riattivazione delle
proprie esperienze adolescenziali e sono caratterizzate da ostilità, imbarazzo, paura, senso di
impotenza o ricerca di soluzioni salvifiche. Inoltre questa resistenza è rinforzata dalla grande
difficoltà e complessità del lavoro con i genitori e ,parallelamente,dalla carenza di riferimenti
teorici e tecnici per affrontarlo.
“Molti psicoterapeuti” nota Palacio-Espasa “presi da un ideale di purismo psicoanalitico, tendono
spesso a consigliare una psicoanalisi o una psicoterapia individuale a genitori il cui apporto
personale ai problemi dei loro figli sembra palese. Ma si devono poi arrendere all’evidenza: questi
trattamenti non portano necessariamente a modifiche della conflittualità tra genitori e figli”. Queste
problematiche possono essere affrontate solo da terapeuti che lavorino con i genitori (in presenza o
meno del figlio) sulla relazione genitore- adolescente.
Paradossalmente il contributo concettuale di Margaret Mahler ,che dallo sviluppo del bambino si è
esteso allo sviluppo in adolescenza e che pure avrebbe potuto dare maggior consistenza teorica al
lavoro con i genitori in una prospettiva relazionale, nel mettere l’accento sui rischi psicopatologici
connessi all’essere reinghiottiti nella simbiosi e nella non differenziazione, ha portato i clinici ad
avere come obiettivo la separazione,piuttosto che la trasformazione del rapporto. Autori come
Rinsley e Masterson, ai fini del trattamento delle patologie gravi degli adolescenti, hanno dato come
indicazione l’allontanamento dell’adolescente dalla famiglia disfunzionale e la ricostruzione dello
sviluppo (dalla simbiosi all’individuazione) in un nuovo contesto.
Negli ultimi anni altri modelli psicoanalitici hanno ampliato la loro influenza: l’approccio
interpersonale e intersoggettivo ha spostato il focus teorico e clinico dall’ambito individuale a quello
duale , collegandosi da una parte agli studi sul primo sviluppo, per quanto riguarda in particolare lo
sviluppo della regolazione emotiva e del senso di sé (Stern, Lichtenberg, Beebe e Lachmann,
Sander) ,dall’altra agli apporti delle neuroscienze.
Inoltre, a partire soprattutto dagli anni ’90, la psicoanalisi si è aperta ai contributi della Teoria
dell’Attaccamento, soprattutto grazie agli studi compiuti da Mary Main sulle rappresentazioni
interne dei legami di attaccamento e sulla trasmissione transgenerazionale di queste
rappresentazioni. Infine, in base agli studi sulla patogenesi dei disturbi borderline di personalità,
psicoanalisti come Fonagy, Target e Slade hanno posto l’attenzione sul concetto della
“mentalizzazione”, proponendo un modello integrato affettivo-cognitivo di cruciale rilevanza per la
comprensione della salute e della patologia mentale.
Questi sviluppi (che hanno a mio parere tanto più valore quanto sono riconosciute le differenze oltre
che le somiglianze tra i diversi approcci) hanno portato a nuovi orientamenti nel trattamento dei
bambini e degli adolescenti: e questo riguarda specificamente il coinvolgimento dei genitori nel
trattamento dei figli.
In Italia, la necessità del coinvolgimento dei genitori e dello stabilirsi di un’alleanza anche con
loroera stata sottolineata da Tommaso Senise nella concettualizzazione della psicoterapia di
individuazione in adolescenza. I colloqui con i genitori costituiscono una parte essenziale sia nella
fase iniziale della consultazione che nella restituzione. Secondo questo modello, utilizzando
l’empatia e l’identificazione con i genitori, oltre che con l’adolescente, “il terapeuta perviene a
restituire un’immagine dinamica e articolata delle relazioni in atto quali sono percepite
individualmente e reciprocamente dai genitori e dal figlio, confrontate con l’immagine risultante
dall’immagine clinica”. Perviene cioè a promuovere i processi di individuazione (che certamente
potrebbero oggi essere intesi nel quadro della mentalizzazione) in tutti i membri della relazione, allo
scopo di riconoscere i bisogni e i desideri di ognuno, le paure, le aspettative e le conflittualità
presenti.
È grazie a questo lavoro con i genitori e con il figlio, sempre secondo Senise, che le indicazioni al
trattamento dell’adolescente ed eventualmente dei genitori possono essere comprese come una
conclusione coerente della consultazione ,con l’obiettivo di riavviare lo sviluppo interrotto o
distorto.
Nel corso degli ultimi anni, a partire dal modello teorico e tecnico di Senise, in questa “estensione
di campo” dal lavoro col singolo adolescente al lavoro con l’adolescente ed i suoi genitori, mi sono
trovato a fare riferimento principalmente a due modelli evolutivi.
In primo luogo al modello evolutivo che ho già citato in precedenza e che viene dalla teoria
dell’attaccamento, comprendendo gli sviluppi di questa teoria che riguardano i concetti di
mentalizzazione e di funzione riflessiva. In secondo luogo al modello proposto da Kerry e Jack
Novick dei due sistemi di autoregolazione, un modello in parte ispirato dalle idee di Von
Bertalanffy sull’organizzazione degli organismi viventi.
In questa relazione intendo considerare questi modelli ai fini della loro applicazione al lavoro con i
genitori dell’adolescente, dalla valutazione al trattamento. Sono entrambi modelli che hanno la
caratteristica di mettere a fuoco le relazioni significative sia sul versante del mondo esterno che sul
versante del mondo interno, nel complesso gioco delle esternalizzazioni e delle internalizzazioni, e
che permettono di comprendere meglio ciò che è avvenuto e avviene nella triade prima e nel corso
del trattamento, sia nelle situazioni di più alto funzionamento che dei casi in cui è presente una
patologia psichica grave.
Attaccamento in adolescenza e lavoro con i genitori.
Secondo la teoria dell’attaccamento, l’organizzazione del Sé e la costruzione di un senso di
sicurezza (le basi narcisistiche) emerge dalle interazioni tra il bambino e il genitore, come
conseguenza delle risposte più o meno adeguate e sensibili del genitore stesso. Le ripetute
esperienze relazionali si organizzano in modelli rappresentazionali di attaccamento, che vengono a
determinare gli aspetti emotivi, cognitivi e comportamentali che caratterizzano le relazioni
d’attaccamento dall’infanzia alle successive fasi del ciclo vitale.
I modelli di attaccamento si manterrebbero prevalentemente stabili nel corso della vita, anche se
proprio durante l’adolescenza avrebbe luogo una riorganizzazione dei modelli di attaccamento, sulla
base di molti fattori, come la comparsa di nuovi attaccamenti, l’interazione con lo sviluppo di nuovi
sistemi motivazionali, in particolare quello della sessualità/riproduzione, e la comparsa delle nuove
capacità cognitive di astrazione ed elaborazione.
Com’è noto a partire dalle ricerche di Mary Ainsworth e all’utilizzo degli strumenti della Strange
Situation per il bambino e della AAI Intervista dell’attaccamento nell’adulto)per gli adulti e per gli
adolescenti è stato possibile identificare quattro diverse modalità di attaccamento (una sicura, due
insicure, evitante-distanziante e ansioso-ambivalente/invischiata, e una disorganizzata) a cui
corrispondono differenti risposte comportamentali e differenti stati mentali connessi
all’attaccamento.
Molteplici ricerche hanno dimostrato l’esistenza di una trasmissione transgenerazionale dei modelli
di attaccamento. I modelli relazionali del figlio si conformano sulla base di quelli dei genitori. È un
genitore con una modalità di attaccamento sicuro, e quindi con uno stato mentale sicuro, che
promuove nel figlio l’organizzazione armonica e stabile dei livelli progressivi del Sé psicologico.
La relazione caratterizzata dall’attaccamento sicuro faciliterebbe cioè molte aree fondamentali di
sviluppo del bambino, come la regolazione fisiologica ed emotiva, la fiducia in sé stesso, la
resilienza, la competenza sociale, l’empatia, la simbolizzazione, la comunicazione e il linguaggio,
l’integrazione del Sé e l’autostima.
In una prospettiva più ampia l’attaccamento sicuro promuove la mentalizzazione, cioè il processo di
comprensione delle azioni e dei comportamenti in rapporto agli stati mentali intenzionali, come i
desideri, i bisogni, i sentimenti e le credenze.
Recentemente la fenomenologia della mentalizzazione è stata così sintetizzata (J.Holmes, 2010)
(tabella 1):
a) prende il via dalla capacità di empatizzare, cioè di mettersi nei panni dell’altro;
b) include la capacità di vedere e valutare sé e i propri sentimenti dall’esterno e quelli degli
altri dall’interno( cioè la capacità o funzione riflessiva);
c) denota la capacità di differenziare i sentimenti circa la realtà, dalla realtà stessa;
d) è graduale, non un fenomeno tutto-o-nulla;
e) è connessa all’attivazione (arousal);
f) si sviluppa in base ad una relazione di attaccamento sicuro ed è accresciuta dalla presenza di
una figura che dia sicurezza e calma.
Circa il 65% dei bambini (e degli adolescenti) manifesta un attaccamento sicuro, con risposte
funzionali e bilanciate agli stress, in particolare alla separazione. Questo significa che hanno avuto
genitori, o almeno il genitore prevalente per l’accudimento, che hanno a loro volta avuto esperienze
abbastanza buone con i propri genitori e/o che hanno elaborato, eventualmente anche attraverso
successive vicissitudini esistenziali o attraverso una psicoterapia, le proprie esperienze del passato,
anche quelle negative, con un conseguente approccio autobiografico coerente e valorizzante i
legami del passato e quelli attuali (in particolare le loro relazioni con il partner e con i figli).
I bambini e gli adolescenti insicuri presentano risposte organizzate, sulla base di strategie difensive
contrapposte, nei confronti del genitore nei momenti di disagio. I soggetti evitanti o distanzianti
minimizzano la risposta emotiva e comportamentale: questi soggetti hanno genitori che a loro volta
negano o svalutano l’importanza delle relazioni di attaccamento con i propri genitori oppure li
idealizzano impropriamente, prendendone comunque distanza, anche attraverso la cancellazione di
ricordi connessi ad esperienze di attaccamento, la soppressione degli affetti negativi e la
sottolineatura delle proprie capacità individuali e dell’indipendenza. All’opposto i soggetti
ambivalenti o invischiati esagerano le risposte allo stress aggrappandosi al genitore e manifestando
rabbia per il suo allontanamento. I loro genitori mantengono una stretta dipendenza dai loro
genitori, sono incapaci di prendere distanza emotiva dalle loro esperienze di attaccamento, in genere
sfavorevoli, e dimostrano risentimento, paura, passività e colpa in riferimento alla relazione con i
propri genitori, ma anche nei confronti di altre figure di attaccamento come il partner e il figlio.
Vi è un altro gruppo di bambini e adolescenti con attaccamento insicuro ai loro genitori che
manifesta un pattern di attaccamento disorganizzato nei momenti di disagio: non possono affidarsi
in modo consistente e stabile né al genitore né a sé stessi. Tendono ad essere imprevedibili nelle
loro risposte, appaiono spaventati e disorientati. I genitori di questi soggetti disorganizzati hanno
per lo più una storia di abusi o di lutti o di altri traumi nelle loro esperienze di attaccamento. In
mancanza di una risoluzione o di una elaborazione di questi eventi il loro stato mentale ne è intruso
in maniera pervasiva o episodica, rendendoli gravemente inadeguati ad essere sensibili e responsivi
nelle relazioni con il figlio e con altre figure di attaccamento: da danneggiati a danneggianti.
(Nella Tabella 2 vengono correlate le quattro modalità di attaccamento evidenziate nel bambino con
le modalità incontrate nell’adulto e nell’adolescente.)
Nel corso dell’adolescenza queste modalità di attaccamento costituiscono le cornici in cui si
dispiegano gli obiettivi della fase, tra cui vi è primariamente quello della maggiore autonomia. Ma
secondo gli studiosi dell’attaccamento, come Joseph Allen, l’autonomia degli adolescenti si
stabilisce non tanto a scapito delle relazioni di attaccamento con i genitori, quanto sullo sfondo di
un contesto di relazioni sicure. Karen Lyons-Ruth, psicoanalista e studiosa di attaccamento, ha
coniato il termine di “attaccamento/individuazione” che si contrappone al concetto di
separazione/individuazione coniato da Margaret Mahler, considerando il processo di separazione
come subordinato al sistema di attaccamento. L’adolescente sicuro tende a preservare a tutti i costi
la relazione con i propri genitori cercando simultaneamente di trovare un posto all’interno di questa
relazione per le proprie finalità e iniziative.
Questo adolescente “sicuro” si trova ad utilizzare le nuove risorse cognitive in modo positivo e
funzionale, sentendosi arricchito e non ostacolato o minacciato dai diversi punti di vista e più in
generale dalla complessità della realtà interna ed esterna.
I genitori in questa cornice di attaccamento sicuro facilitano la connessione vitale tra il mondo
interno del figlio e il loro attraverso un atteggiamento che garantisce insieme la protezione e la
sicurezza e l’esplorazione.Sono gli “adulti senza riserva” di cui ci ha parlato Philippe Jeammet.
Questa connessione vitale, fondamento della resilienza, cioè della capacità di integrare i
cambiamenti e di adattarsi alle avversità, si basa, come nelle fasi precedenti dello sviluppo,
sull’empatia, sull’accettazione, sulla curiosità e anche sull’umorismo, che mantiene le
comunicazioni in un clima tranquillo al riparo dell’accentuarsi dell’aggressività, promuove le
negoziazioni e la collaborazione nello stabilire regole e limiti e nell’attenervisi e favorisce la
possibilità di recuperare la spontaneità e l’autenticità del contatto con sé stesso e con l’altro.
Questi concetti fanno da riferimento agli interventi di sensibilizzazione e prevenzione primaria con i
genitori degli adolescenti (come avviene nelle esperienze di child guidance in Inghilterra,
coordinate dall’Anna Freud Centre) per aiutarli a comprendere sé stessi e il figlio in termini
evolutivi, a tollerare le sfide poste in particolare dall’emergente sessualità e aggressività e ad
elaborare strategie per affrontare le difficoltà della fase.
Le modalità insicure di attaccamento in adolescenza.
Questo modello della child guidance difficilmente si applica al lavoro con i genitori che si
rivolgono a noi per aiutare il figlio adolescente più o meno gravemente problematico. Sono le
relazioni di attaccamento insicuro che comportano una condizione di vulnerabilità connessa a
modalità inadeguate di autoregolazione emotiva e di regolazione reciproca e a fallimenti e
distorsioni della funzione riflessiva. E’ da sottolineare che non è stata dimostrata una correlazione
diretta tra le modalità di attaccamento insicuro e psicopatologia: piuttosto queste modalità
comportano fattori di rischio che in rapporto ad altri fattori precipitanti, singoli o più
frequentemente in combinazione ,portano ad una sintomatologia. Come ha osservato James Fisher,
nelle coppie di genitori in una relazione con attaccamento insicuro: “è presente un marcato grado di
asimmetria e di rigidità nella relazione ,con un partner che si trova tipicamente in una posizione e
l’altro nell’altra posizione e con una scarsa capacità di spostarsi da una posizione all’altra. Questi
genitori mostrano poca consapevolezza circa la natura delle esperienze emotive dell’altro e degli
effetti di queste esperienze sia su di sé che sull’altro.”
I genitori distanzianti, come ho già accennato in precedenza, rifiutano i bisogni di dipendenza,
appaiono distaccati emotivamente e presentano spesso un atteggiamento di concretezza e di
svalutazione nei confronti del figlio, ma anche nei confronti del partner e dei propri genitori.
I genitori invischiati sono invece coinvolti in una relazione caratterizzata da inversione di ruoli e/o
da intensa ambivalenza. Hanno bisogno del figlio e lo tengono legato a sé attraverso richieste di
cura, manipolazioni, intrusioni, colpevolizzazioni o anche attraverso movimenti alternanti di
gratificazione e di frustrazione, rimproveri e attacchi rabbiosi.
I genitori non risolti/disorganizzati che hanno riportato nella loro storia un trauma o una perdita non
elaborati entrano temporaneamente in stati di coscienza alterati, del tipo della dissociazione.
Secondo Main ed Hesse essi hanno avuto nel corso dello sviluppo del figlio un comportamento
spaventato/spaventante che ha provocato e provoca risposte contraddittorie nel figlio di
avvicinamento e di fuga. Per questi genitori (e per il figlio) le risposte e i pensieri e i sentimenti
degli altri divengono confusi e terrificanti “in quanto questi pensieri e sentimenti rimangono
insufficientemente differenziati” (Fonagy). D’altra parte molto spesso nella valutazione e nella
terapia ci si trova davanti a coppie di genitori che presentano modelli di attaccamento insicuro
diversi l’uno dall’altro: in particolare è frequente che uno di essi presenti il modello distanziante e
l’altro quello invischiato. Sono coppie penosamente “inseparabili”, molto frequentemente
riscontrabili nei casi di disturbo alimentare della figlia/figlio, immerse in un circolo vizioso di
interazioni conflittuali: ognuno dei due genitori ha bisogno dell’altro per mettere in atto il proprio
dramma relazionale e personale. “Il genitore preoccupato si sente deprivato e il partner distanziante
esprime il diniego nei confronti di dipendenza dell’altro”(Fischer). È una configurazione che ricorda
la “danza” relazionale descritta da Joan Lachkar per la coppia narcisista/borderline.
In questi genitori insicuri e in particolare nei genitori non risolti e disorganizzati è potente
l’influenza dei fantasmi delle generazioni precedenti: “i visitatori del passato non ricordato” di cui
ha parlato Selma Fraiberg. Visitatori ostili e ingombranti che invadono le interazioni e lo spazio
mentale tra genitori e figlio adolescente.
La tabella 3 riassume quanto detto finora mostrando come a partire dalle esperienze di attaccamento
nell’infanzia possano quindi essere descritti due percorsi di sviluppo, uno protettivo, favorevole e
associato alla resilienza, e un secondo che comporta vulnerabilità psichica. Ai due diversi percorsi
di sviluppo corrisponderebbero al termine del processo di strutturazione adolescenziale, (a cui si
può attribuire il significato di “crisi”dato da Francois Ladame), due diversi esiti, il primo verso la
progressione e l’adattamento alla nuova situazione con un livello di funzionamento superiore al
precedente, il secondo verso l’arresto di sviluppo o verso la regressione.
Il modello dei due sistemi di autoregolazione di Kerry e Jack Novick.
Anche il modello proposto da Kerry e Jack Novick descrive due diversi percorsi di sviluppo,
connessi a due sistemi distinti in termini di autoregolazione del sé: un sistema aperto e uno chiuso.
La fonte di ispirazione di questa concettualizzazione sta, come ho già detto, nella teoria di Von
Bertalanffy (1968) dei due sistemi di epigenesi, un sistema aperto di plasticità psicobiologica e un
sistema chiuso “per cui le condizioni iniziali determinano inevitabilmente lo stato finale”.
I Novick propongono che nel corso dello sviluppo, in risposta ad esperienze di impotenza,
qualunque sia la causa, l’individuo mostri due diversi tipi di funzionamento. Il funzionamento a
sistema aperto è sintonizzato sulla realtà, è competente, basato su relazioni piacevoli e di mutuo
rispetto che si sono formate attraverso percezioni realistiche di sé e degli altri, una comunicazione
vitale e fluida con le esperienze che vengono dal mondo interno come da quello esterno e che danno
accesso a condizioni di gioco e di creatività. Viceversa il sistema chiuso evita la realtà ed è
caratterizzato da credenze onnipotenti, fallimenti nella competenza, relazioni con modalità
sadomasochistiche, come ricerca del controllo sull’altro. Il sistema chiuso si fonda su percezioni
distorte di sé e degli altri, tende alla ripetizione e alla rigidità, soprattutto dopo l’adolescenza. In
questa prospettiva, quando si guarda ai membri del sistema chiuso, si può riconoscere come gli
stress e i cambiamenti della fase evolutiva suscitino ,nella ricerca dell’omeostasi ,reazioni
patologiche, enactment ed esternalizzazioni, nel tentativo di forzare l’altro a conformarsi ad una
particolare immagine, a cui corrisponde il disconoscimento dell’individualità.
L’esternalizzazione, secondo i Novick, costituisce il meccanismo fondamentale nei sistemi chiusi
come difesa diretta ad evitare la ferita narcisistica connessa all’accettazione degli aspetti svalutati di
sé. Io ritengo che nelle situazioni più primitive, in cui è più carente la differenziazione e la coesione
del Sé, l’esternalizzazione comporti la dipendenza fisica dalla presenza dell’altro, con modalità
equivalenti, a livello funzionale, a quelle descritte dalla Mahler come relazione simbiotica.
Gli sforzi fallimentari per raggiungere un’identità indipendente per questi adolescenti esitano spesso
in attacchi rabbiosi contro i genitori e azioni auto ed etero distruttive: la comparsa della
sintomatologia riguarda spesso il corpo (come nei disturbi alimentari), significante minaccioso e
minacciato delle trasformazioni del Sé e delle relazioni.
Ma al di là dei loro sforzi i figli adolescenti di questi genitori portatori di credenze onnipotenti e di
modalità sadomasochistiche di relazione sono per lo più destinati a internalizzare queste credenze e
queste modalità e ad identificarsi con i loro genitori.
Anche da questo punto di vista, della trasmissione intergenerazionale e del circolo vizioso tra
genitori e figli, è possibile riconoscere numerosi punti di contatto e molte possibilità di integrazione
tra il modello dei Novick, più radicato nella tradizione psicoanalitica, e il modello
dell’attaccamento.
Ambedue i modelli si discostano da una visione a binario unico (single track) dello sviluppo per
configurare due vie di sviluppo in base alle relazioni più o meno favorevoli con i genitori.
I modelli insicuri, così come i sistemi chiusi ,corrispondono a configurazioni difensive per
controllare un genitore che non è sufficientemente buono e per controllare le proprie emozioni di
ansia, paura, impotenza. Il grado di pervasività e di rigidità di queste configurazioni può essere
molto vario, con conseguente diversa intensità del livello di compromissione del rapporto con la
realtà , dell’autoregolazione emotiva, del disturbo relazionale.
Secondo entrambi i modelli, il terapeuta e il nuovo contesto attivano potenzialità di trasformazione
nella triade, “sequestrata” nella ripetizione delle proprie configurazioni difensive.
L’applicazione dei due modelli evolutivi a doppio binario al lavoro clinico con i genitori.
L’applicazione di questi concetti comporta alcune conseguenze principali nel lavoro clinico con i
genitori dell’adolescente.
L’obiettivo primario di questo lavoro è quello di creare fin dall’inizio il nuovo contesto in cui i
genitori possano spostarsi dalla dimensione concreta, connotata dalle preoccupazioni e dalle
lamentele sui comportamenti e spesso dall’urgenza e dall’aspettativa ambivalente di soluzioni
risolutive ad un atteggiamento riflessivo, centrato sulla comprensione del figlio e dei suoi bisogni e
non sulle azioni.
Il terapeuta si propone come modello di funzionamento “aperto” per il sistema (e in particolare per i
genitori) : l’altro è ascoltato in modo partecipe e accolto nella propria mente come essere
mentalizzante, come persona in cui sentimenti e comportamenti sono connessi tra loro così come
sono connessi sentimenti e comportamenti dei genitori con quelli del figlio.
Il terapeuta, oltre ad essere oggetto di transfert, che registra su di sé le modalità relazionali del
passato, è una persona reale, una nuova figura di attaccamento e un oggetto di identificazione che
da una parte fornisce contenimento ai genitori e dall’altra si pone come base sicura per
l’esplorazione di sé e delle relazioni. Lo “stare con” l’altro con modalità nuove, nella prospettiva di
dare via alle trasformazioni e allo “sviluppo progressivo”è il fondamento dell’alleanza che i Novick
(nel loro libro dal titolo il cui titolo,nella traduzione letterale dall’inglese,è:“Lavorare con i genitori
fa funzionare la terapia”) indicano come la lente che ci aiuta a vedere come coinvolgere i genitori
degli adolescenti durante il processo del trattamento del figlio, dalla valutazione alla conclusione.
In questa tabella (Tabella 4) vengono illustrati i compiti dell’alleanza terapeutica con i genitori nelle
diverse fasi del trattamento dell’adolescente. Sappiamo d’altra parte che in molti casi il lavoro con i
genitori è l’unico lavoro possibile quando l’adolescente rifiuta il trattamento. In questi casi il
trattamento del figlio avviene attraverso i genitori: è un lavoro che rappresenta talvolta la premessa
di un coinvolgimento dell’adolescente in un secondo tempo.
In altri casi, quando un adolescente di 17,18 anni ed oltre, che si rivolge direttamente per un aiuto
come può avvenire in un servizio pubblico, rifiuta che siano coinvolti i genitori, la sua richiesta va
ovviamente rispettata all’inizio, con l’obiettivo di elaborare in seguito i motivi del rifiuto e di
giungere successivamente (un’eventualità che ritengo necessaria per i giovani più disturbati) al
lavoro in parallelo con i genitori.
È all’interno della cornice fornita dai due modelli di sviluppo che vengono considerate, sia nel corso
della valutazione prolungata che del trattamento ,le potenzialità evolutive e le resistenze al
cambiamento dei genitori.
L’esperienza dimostra che già lo stabilirsi di un’alleanza preliminare durante la valutazione è un
obiettivo difficile da raggiungere con genitori con modalità rigidamente insicure,invischiate o
distanzianti. Le resistenze da parte di uno o di entrambi possono essere massicce e apparire
insuperabili. Spesso riuscire a coinvolgere un genitore che si oppone all’invio o che, adducendo le
motivazioni più diverse è riluttante a partecipare ai colloqui, è un compito estremamente
defatigante. Ma è fondamentale cercare di coinvolgere entrambi i genitori ed è importante che il
terapeuta tenga presente e faccia presente nel corso degli incontri che per il cambiamento è
necessario il contributo, la coalizione della madre e del padre.
Nella prospettiva di questa alleanza preliminare, fin dai primi incontri, il terapeuta chiarisce
esplicitamente il duplice scopo del trattamento(Novick): in primo luogo riavviare nel figlio il
normale percorso evolutivo, in secondo luogo ripristinare la relazione genitori-figlio come risorsa
positiva per ognuno dei tre per tutto il corso della vita. Ciò comporta riconoscere e valorizzare le
capacità genitoriali che i genitori colpevolizzati e sfiduciati tendono a negare e a svalutare. Ai
genitori, rivolgendosi alla loro parte più adulta e sana, viene proposta un’esplorazione condivisa
della loro storia ,stimolando le funzioni di osservazione ,di ascolto e di riflessione, spostando
l’attenzione dai fatti agli stati mentali e dalle relazioni attuali a quelle passate con il figlio, con il
partner e con i propri genitori, in particolare per quanto riguarda la fase adolescenziale dei genitori
dell’adolescente.
Una importante traccia operativa, nel considerare le narrative dei genitori, mi è venuta dallo studio
dell’intervista dell’attaccamento nell’adulto (AAI), con la messa a fuoco delle deviazioni o delle
cadute della coerenza del discorso, ad esempio attraverso la cancellazione più o meno parziale dei
ricordi e la banalizzazione o viceversa attraverso le divagazioni e le sospensioni che implicitamente
rivelano il bisogno di dipendenza dal terapeuta.
Anche un’altra intervista che è stata utilizzata nella ricerca clinica, la Parent Development Interview
(PDI) elaborata da Arietta Slade e dai suoi collaboratori, offre spunti importanti per considerare le
rappresentazioni dei genitori e la loro funzione riflessiva.
È comunque di grande importanza che nel corso del lavoro con i genitori si tenga sempre presente
che, per quanto essi possano essere disturbati e spesso lo sono anche gravemente, non sono loro i
pazienti. E’ importante inoltre fare attenzione a non muovere il focus del nostro intervento dalle
dinamiche della relazione con il figlio ai conflitti di coppia. Al fine di favorire una posizione
collaborativa è essenziale piuttosto mostrare empatia con le ansie e le emozioni negative dei
genitori, così come con quelle positive che rivelano, come suggeriscono i Novick, l’amore primario
e la “possibilità di trasformare il senso di colpa in preoccupazione utilizzabile”. Vanno
precocemente sottolineati gli elementi eventualmente portati dai genitori (o da un genitore)che
segnalano la comprensione della natura interna delle difficoltà del figlio, spostando la loro
attenzione dall’obiettivo della riduzione dei sintomi. Partendo dai racconti dei genitori, sia nel corso
della valutazione che nei colloqui successivi ,usando in particolare i “momenti caldi”
dell’interazione ,viene evidenziato il fenomeno della ripetizione e si porta la riflessione sugli effetti
dei blackout del monitoraggio e sulla tendenza alla “cancellazione “ delle acquisizioni graduali. La
tendenza a fare e disfare.Rispetto, flessibilità e pazienza del terapeuta costituiscono il modello che
evidenzia con i genitori la possibilità di risposte emotive differenti e la capacità di affrontare i
problemi in modo più realistico. Talvolta, proprio nell’ambito di un atteggiamento “realistico”, è
opportuno condividere l’obiettivo di lavorare per raggiungere compromessi che offrono vantaggi
limitati ma che possono rcostituire i gradini necessari per “aprire il sistema”.
Un esempio: Giorgio è un ragazzo di 17 anni, fino ai 14 anni è andato bene a scuola e non ha
presentato problemi. In seguito, in corrispondenza dell’acutizzazione della cronica tensione
coniugale tra i genitori, è diventato sempre più provocatorio con loro, il suo funzionamento
scolastico è peggiorato portando a due bocciature e a numerosi cambiamenti di indirizzo scolastico.
Da un anno si rifiuta il più delle volte di alzarsi dal letto per andare a scuola, passa la giornata
giocando con la play station rifiutando ogni aiuto e ogni invio in consultazione. I genitori durante la
valutazione sono apparsi esasperati e reciprocamente colpevolizzanti, la madre spaventata ,ansiosa e
confusa , il padre compresso e impotente. A casa talvolta esplodeva in attacchi di rabbia col figlio,
che recentemente gli si era rivoltato contro anche fisicamente. Dal loro racconto sono emerse storie
personali di rifiuto o di abuso: la madre aveva avuto un rapporto estremamente difficile con una
madre perennemente critica e svalutante. Il padre aveva avuto un padre alcolista e violento che gli
provocava sentimenti di disprezzo, vergogna e odio e con cui aveva rotto i rapporti al termine
dell’adolescenza. È stato possibile lavorare con questi genitori sulla loro estrema delusione e
colpevolizzazione reciproca, ognuno visto come parte di sé e sulla paura del fallimento e su come
rivivessero con Giorgio le loro storie personali usandolo durante i loro litigi coniugali. Hanno via
via accettato la proposta di uscire dal circolo vizioso riconoscendo le ansie del figlio per il proprio
fallimento come causa primaria del suo ritiro e della sua rabbia. Progressivamente hanno
riconosciuto gli aspetti positivi del figlio che prima erano completamente negati e hanno ritrovato,
in particolare il padre, la possibilità di trascorrere con lui dei momenti piacevoli come premessa ad
una possibilità di porre dei limiti e di gestire diversamente il conflitto. Giorgio da parte sua ha
ridotto i suoi atteggiamenti provocatori; ha ripreso, anche se in modo incostante, ad andare a scuola
ed ha richiesto l’anno successivo una consultazione per sé.
Nella prospettiva di una trasformazione del sistema i Novick propongono che il lavoro con i
genitori sia fatto dallo stesso terapeuta che ha in trattamento il figlio adolescente.
I setting sono per lo più mantenuti separati tra loro, ma in certi casi o in certi snodi del trattamento
genitori e figli possono essere visti congiuntamente. Si tratta di un intervento di grande
complessità, che prevede da parte del terapeuta una grande attenzione al mantenimento della
neutralità e alla possibilità di essere utilizzato da tutti i membri della triade, evitando alleanze e
collusioni con l’uno a scapito degli altri.
L’alternativa, che costituisce probabilmente l’approccio più comune (per chi è convinto
dell’importanza del lavoro in contemporanea con genitori e adolescente), è quella dell’invio dei
genitori dopo la fase di consultazione ad un altro terapeuta. Certamente questo diverso approccio,
che si basa anche su un diverso contesto socio-culturale, offre all’adolescente una garanzia
maggiore di riservatezza, confidenzialità e salvaguardia del proprio spazio terapeutico. Ma
quest’approccio comporta anche il rischio che senza una valida coordinazione tra i due terapeuti gli
interventi ( o uno dei due) possano essere distorti o ostacolati, fino all’interruzione, a causa di
meccanismi difensivi patologici che rispecchiano quelli presenti nel sistema familiare.
In tutti i casi la questione della riservatezza e della confidenzialità è cruciale nel lavoro in parallelo
con l’adolescente e i suoi genitori .Nell’affrontare le comunicazioni e le azioni “dietro le spalle”e il
mantenere segreti come modalità di controllo , l’avere presente l’obiettivo della separatezza e il
mettere in atto comunicazioni genuine e dirette che ristabiliscano i confini e ne abbiano cura sono
le fondamentali premesse per occasioni di scambio più libero nella triade e per una vicinanza
affettiva maggiore e ad un nuovo livello. Il cammino verso la sicurezza, nel senso
dell’appropriarsi responsabile delle proprie distinte fasi evolutive dell’adolescenza e della
genitorialità, passa dal graduale recupero della fiducia nell’altro ,del dare valore alla reciprocità e
del rispetto condiviso per lo “spazio privato del Sé”.
Torino, 1/3 ottobre 2010