Autore
FRANCA TIRALOSI

La pandemia da Coronavirus ha colto tutti di sorpresa: ambulatori chiusi, scuole chiuse, attività commerciali chiuse, divieto di assemblamenti.
La parola d’ordine è stata fermarsi – restare a casa – tutelare la propria e l’altrui salute, ma non eravamo preparati a tutto ciò.
Tra qualche iniziale perplessità si intuisce che i nostri incontri con i colleghi di gruppo Assia saltavano a data da destinarsi, come i programmi di ciascuno di noi.
Le notizie correrrevano veloci e sono state tante, confusive e sconfortanti. La scuola si organizza con la didattica a distanza: consente di vedersi telematicamente e nonostante la non presenza permette di continuare la formazione scolastica pur con
ovvie difficoltà.
Le letture diventano importanti e confrontarsi urgente.
Si decide con i colleghi del gruppo Assia di incontrarci da remoto. L’esperimento, dopo iniziali difficoltà organizzative, ha consentito uno scambio di vissuti ed emozioni personali prima e lavorative dopo, e ben presto è diventato un appuntamento in cui ritrovarsi e sostenersi reciprocamente.
Lo scambio di esperienze, le letture suggerite sono state un valido supporto psichico al lavoro di chi ha continuato, nonostante i cambiamenti di setting, a lavorare nelle istituzioni, a volte a contatto con la patologia e l’angoscia di contagiarsi e contagiare i
familiari.
Il telefono o la videochiamata con i pazienti è stata una risorsa, ciascuno ha utilizzato il sistema più consono al proprio stile. Discuterne e confrontarci sulle esperienze cliniche è diventato fondamentale, di grande aiuto e di supporto nell’affrontare l’isolamento e la precarietà di una situazione nuova a tutti.
I nostri incontri hanno assunto un ritmo costante, quindicinale, e si sono arricchiti presto di tanti resoconti clinici che abbiamo condiviso e che hanno fornito vari spunti di confronto. Le riflessioni aquisite hanno portato a organizzare la giornata di studio in
webinar del 10 luglio scorso.


In locandina non è mancato il Monastero dei Benedettini, sede cara ad Assia, il cui particolare delle Cucine ci è parso estremamente evocativo sia per il regressivo ritorno alle cucine sia per i colori e le caratteristiche del Coronavirus.
G. Grassi, presentando l’evento, ha messo a fuoco il senso di “vuoto” creato dalla pandemia, quanto ha significato per ciascuno “tenersi a distanza”. “Gli adolescenti l’hanno accettata con una certa sofferenza; i ragazzi l’hanno utilizzata per conoscere i familiari. I sogni ricorrenti sono stati di acqua, di tzunami….di sentirsi come un naufrago.”
Nuove forme di setting. Il setting e le sue trasformazioni è stato il titolo per gli spunti clinici presentati da Tania Papa, Giovanni Rapisarda e Concetta Tummino, che hanno continuato il lavoro ambulatoriale durante il lockdown e ci hanno consentito di riflettere
sul cambiamento di setting a cui sono stati indotti per necessità.

T. Papa ha dato disponibilità telefonica ai pazienti del consultorio di Grammichele dove lavora. Esserci a distanza, immaginare i pazienti con la comunicazione telefonica, le ha creato grande fatica, anche fisica, ed ha evidenziato il peso del rapporto a distanza. A fronte della preoccupazione viene sollevata dalle espressioni dei pazienti: “meno male che ci sono state le telefonate… pur coi problemi di doversi distanziare dai familiari e trovare l’ambiente giusto per parlare”. Si è soffermata, citando Recalbuto, sul ”legame anche durante l’assenza” , sul lavoro fatto rivolto a trovare una modalità di mantenimento o trasformativa che permetta il legame in assenza del corpo. La discussione si è focalizzata sull’impegno controtransferale, in questa condizione di setting così faticoso e gravoso in cui non si sa cosa succede dall’altra parte e si resta in un’attesa
molto inquietante prima di capire. Una trasformazione interna in condizini così difficili è stata scelta forzata per salvare la possibilità di mantenere lo spazio interno per accogliere il paziente.
G. Rapisarda, responsabile del centro adolescenti di Catania nota, tra i pazienti in carico, un aumento dei disturbi ossessivo compulsivi e dello spettro ansioso, con una momentanea riduzione dei disturbi a prefisso schizo. Il mondo esterno, in generale, e negli adolescenti, in particolare, conferma che bisogna avere paura. In contrasto con la scarsa richiesta di nuovi casi clinici, da cui di evince una chiara tendenza all’isolamento e all’evitamento delle emozioni. Nei casi clinici esposti il cambiamento del setting ha indotto ansia e irritabilità.


C. Tummino ha presentato un caso, in trattamento nell’ambulatorio di Ragusa, in cui la modifica del setting (sedute al telefono), ha portato invece ad un vero cambiamento positivo, determinato dal modificarsi del rapporto con l’analista fino alla riattivazione di valenze sessuali adolescenziali fino ad allora sopite. Ricca di riflessioni la partecipazione dei presenti con osservazioni ed emozioni richiamate dagli spunti clinici: la modifica del setting, l’alterazione dello spazio-tempo, del ritmo,
riguardano l’analista quanto il paziente. La modifica del setting , il setting a distanza ha problematizzato” l’ascolto” e il tenere
dentro il paziente e, la ripresa, con un setting modificato da mascherina, distanza di sicurezza e presidi anti-covid continua ad essere disturbante. E’ durante le variazioni casuali, o che decidiamo di fare, che si produce la possibilità che vengano fuori aspetti arcaici del sé della coppia al lavoro, sia nel paziente che nel terapeuta, mettendo in gioco aspetti interni come il nostro vissuto rispetto al Coronavirus. E’ possibile che ci sia una accelerazione di processo, la variazione di setting permette di mentalizzare, come immaginare, e si può creare un nuovo percorso. Aspetti arcaici consentono, così, con la
variazione del setting, di fare emergere un movimento congelato che mette in gioco funzioni sopite, oltre ad avere altri sensi in gioco per accogliere e sentire altre cose.
L. Maccioni cita Bleger ed i suoi studi sul setting: il
non processo, ossia inquadramento o setting, è condizione fondamentale per osservare l’aspetto processuale. A volte, in forma occasionale o permanente, il setting si trasforma in processo e mette in crisi il lavoro terapeutico.
Non si può dire o teorizzare però che l’analisi da remoto è la stessa cosa dell’analisi in presenza. Sicuramente offre buoni spunti di riflessione l’alterazione del setting nella dimensione del processo.
Qualunque scelta è stata caratterizzata da interferenze; cosicchè il paziente adolescente o si è sentito invaso e si è difeso, con l’esclusione del privato, o si è esposto in maniera seduttiva al terapeuta. Ciò ci ha portato a concludere che connessione e comunicazione sono due cose diverse: abbiamo cercato in condizioni così difficili di salvare la comunicazione con la connessione, cercando di non impoverire la relazione. Se c’è una modificazione interna ciò passa nella stanza di analisi. Pertanto, diverso è scegliere di utilizzare questa modalità di setting, ciò
richiede un’ulteriore riflessione. Si è rimasti in attesa di valutare quali saranno i riscontri e i veri effetti che il cambiamento avrà prodotto rimandando le valutazioni alla ripresa
delle sedute.
I casi trattati sono stati tutti di adolescenti, dove già c’era un ritmo, un setting e un’alleanza terapeutica e, sulla base di questo, è stato possibile valutare la variazione del setting. A.Maltese presenta delle riflessioni su
Adolescenti, Coronavirus: emergenza, urgenza. Chi lavora con gli adolescenti ha una certa familiarità con l’emergenza e l’urgenza.
La nuova condizione creata dal Coronavirus ha elicitato tante similitudini con la condizione adolescente e, per condizione adolescente, si indica una precisa situazione mentale che ha come caratteristica l’urgenza e la non proclastinabilità.
Entrambi, sono eventi nuovi e inaspettati; impongono la necessità di attivare esperienze nuove. Un nuovo assetto: niente sarà come prima!
Ambedue sono improvvisi e non c’è esperienza precedente.La durata può essere prevedibile ma non è prevedibile negli esiti.
La caratteristica comune è una condizione di crisi di funzionamento del nostro assetto.
La presenza del Coronavirus ha messo in crisi le nostre abitudini sociali, ha innescato
incertezza, attesa, senso di precarietà che investe la stabilità del senso di sé e questo è
riconoscibile anche in adolescenza.
Il vissuto del tempo è alterato dal venir meno del ritmo familiare del tempo.
Il tempo più che sospeso ha perso il senso della familiarità del vissuto.
Si vive una turbolenza affettiva, dove l’intensità del vissuto prevale su quella del pensato
e questa è anche la condizione adolescente. Negli adolescenti in florido cambiamento il
tempo è diventato come un Giano Bifronte che si imbizzarrisce.
L’adolescenza non ci dà tempo. E’ necessario far presto per fare emergere il potenziale
creativo che c’è in ciascuno, solo in questa fase.
L’impatto con il corpo sessuato può essere traumatico e, a volte, invasivo, come è stato
traumatico e invasivo il Coronavirus.

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Il lockdown e le limitazioni ad esso connesse sono state cause di grande disagio e
sofferenze per tutti, ancor più per l’adolescente, che per caratteristica propria, deve
mettersi in gioco attraverso l’esperienza di realtà: agisco dunque penso. E l’agire è dato
dalla possibilità di fare esperienza nella realtà esterna. L’agire è il suo modo di procedere
e deve poterne fare uso.
Ma l’esterno estraneo, che lo attrae, la minaccia esterna è diventata reale, minacciosa e
proibita. La minaccia esterna che ha impedito le esperienze sociali agli adolescenti li ha
trattenuti in ambito familiare, o, viceversa, ha prodotto l’ infrangere i divieti e mettersi
in pericolo rischiando.
La tenuta dell’adulto è stata fondamentale in ogni forma: istituzionale, familiare e
gruppale, in qualità di garante, utile per aiutare l’adolescente a gestire l’angoscia di
questa situazione.
Il riconoscimento del limite del sé potrebbe essere il nucleo alla ripresa del lavoro
terapeutico per il persistere della precarietà della situazione attuale. Tre mesi sono un
tempo molto importante in adolescenza e possono esserci sfuggite molte cose durante
la relazione a distanza. Fondamentale rivalutare la condizione adolescente, e la
valutazione và aggiornata sempre e, con il rivedersi è fondamentale occuparsi del vissuto.
L’esperienza traumatica di chiusura può avere indotto una condizione di passività e di
sofferenza intollerabile negli adolescenti. Possiamo rincontrare l’adolescente in una
condizione di infelicità dove il
consolare (Gutton) diventa fondamentale punto di
ripartenza per riprendere il rapporto.

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