Corso Residenziale
La capacità di narrare è una delle funzioni mentali umane, legata alla rappresentazione e alla memoria, il cui esercizio produce effetti sia di elaborazione delle vicende e dei traumi emotivo/cognitivi di cui si fa esperienza, sia di legame sociale nella condivisione di queste esperienze. La narrazione si avvale per lo più del linguaggio verbale e visivo, nella loro versione segnata da quello che Freud chiamava “processo secondario” dando forma nel sociale a svariate forme artistiche nella combinazione di aspetti fonetico-uditivi, visivi o cinetici.
Ma che succede quando l’emotività traumatica rimane incistata nel processo primario (nel “protomentale” per dirla con Bion), quando il corpo è rappresentato da un indistinto “psicosomatico”?
I sintomi, le concrezioni patologiche prodotte dal corpo, possono essere considerati rudimentali racconti di una sofferenza che il corpo narra e ripete alla ricerca di qualcuno che se ne preda cura?
Che dire dell’uso del corpo delle giovani generazioni, sempre più strumento di comunicazione ambigua attraverso segni indelebili impressi sulla pelle, oggetti metallici che la attraversano, pasticche che trasformano le percezioni, privazioni alimentari inaudite? E ancora: che ne è del corpo nell’era digitale, dove la “rete” sembra mediare tutte le relazioni e relegare il corpo alle sue funzioni vitali di base?